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La memoria storica è come un quaderno di appunti, un’agenda, un diario dove vengono raccolti gli eventi ricchi di significato del divenire umano. Senza memoria non si può raccontare il passato né costruire il futuro. Debellare la memoria vuol dire smantellare le fondamenta della nostra natura di uomini, la propria identità, la prosecuzione temporale dell’intera umanità.

Noi siamo ciò che ricordiamo di essere. E tutto affonda le radici nel passato, nella storia che non celebra il sapere ma la ricerca, che dà respiro a nuove tensioni sociali spesso sonnecchianti  

e rese inoffensive dalla macchina del potere sociale. Tutto il senso della conoscenza storica risiede in questo: non custodire il passato dentro scrigni inaccessibili, ma realizzare le speranze del suo insegnamento. Lo storico non è colui che sa, ma colui che cerca (Lucien Febvre). Mettere l’uno dietro l’altro le date, gli eventi, i fatti è importante, ma lo è altrettanto l’indagine delle emozioni. E ciò è possibile guardando ai particolari, recuperando i segni che spesso passano inosservati all’indagine frettolosa del ricercatore.  

Sono infatti le piccole cose, i dettagli sfuggevoli di un documento, di un oggetto, di una fotografia, di un racconto a restituire il senso dei grandi eventi, a permettere di comprendere ciò che sta dietro l’imponente peso dell’ufficialità.  

Leggere i dettagli è il nostro compito. La storia è anche narrazione. E lo deve essere. Rimettere in gioco, criticamente, il passato, ci offre la chiave per riscoprirlo e liberarlo dalle catene celebrative. Servirà alla memoria storica ad imparare e, come scrive Hillman, a registrare prima gli eventi dell’anima per passare poi ad indagarne le ripercussioni nella storia del mondo e negli accidenti degli eventi.